Perchè
questo nome?
La
risposta è che stiamo facendo degli esperimenti, delle prove: il
vecchio mondo competitivo basato sul “divide et impera” non ci
piace più e stiamo cercando di costruirne uno nuovo basato sulla
collaborazione e sulla connessione.
Stiamo
passando da strutture piramidali a strutture collaborative. Ma
nessuno sa come si fa. Nessuno lo sa. Il nostro stato di schiavi
abituati al binomio delegare -pretendere, ad eleggere chi rappresenta
il “nostro” bene (e non quello di tutti) e poi a protestare, non
è ancora capace di trasferire nella materia un paradigma che preveda
responsibilità condivise e diversificate secondo i propri talenti in
una spontaneità che ha come comune denominatore il sentimento di
unione.
Siamo
in un momento di transizione, con un piede nel vecchio e lo sguardo
che cerca il futuro. Da dove possiamo prendere ispirazione?
Sicuramente dalla natura che crea sistemi autogestiti ricchi di
biodiversità. Ma ci vogliono anni per completare il passaggio da un
campo abituato ad essere arato, sfruttato, imbottito di prodotti
chimici, irregimentato ad un campo ricco delle mille specie
spontanee, colorate, profumate che nell'insieme formano un capolavoro
di armonia.
Forse
è più facile ispirarsi ad un'orchestra che deve imparare a suonare
una sinfonia. Il ruolo del direttore d'orchestra è fondamentale per
dare a ciascuno strumento la visione d'insieme e nello stesso tempo
la consapevolezza del proprio ruolo, del proprio valore, della
propria specificità, il senso del proprio vibrare in relazione agli
altri strumenti.
Non
c'è democrazia: se vogliono ottenere un risultato gli strumenti non
possono agire di propria iniziativa, ma devono attenersi alla loro
parte.
Non
può essere che il fagotto o il trombone decidano di farsi sentire
un po' di più, perchè ciò che conta non è l'iniziativa del
singolo, ma l'armonia d'insieme. Più gli strumenti sono sicuri del
proprio ruolo, migliore è il risultato.
Però
poi con il tempo, nelle orchestre affiatate che ben conoscono la
sinfonia, può succedere che il direttore d'orchestra diventi sempre
meno importante e che gli strumenti -che si muovono ormai con un
unico orecchio ed un unico sentire- incomincino, in silenzioso comune
accordo, a introdurre minime variazioni personali che nascono dalla
voglia di andare oltre, arrivare a qualcosa di nuovo, fino a creare
nuove sinfonie spontanee ed improvvisate di grande valore.
E il
direttore sarebbe felice, strafelice, di aver cocreato una forma di
vita autonoma, sorprendente, a sua volta creatrice.
Potrebbe
succedere tutto ciò senza aver prima affinato un fine percepire
collettivo? Direi proprio di no! Sarebbe una cacofonia di
individualità che vogliono dire la loro senza una vera meta
collettiva.
Perciò
noi stiamo vivendo nel momento di passaggio, in un laboratorio, stiamo provando, immaginando, allungando le antenne, cercando,
sbagliando, confrontando esperienze, ma una sola cosa è certa: questa consapevolezza
creatrice, dopo aver lasciato andare tutti i vecchi fardelli e le vecchie certezze, non ha niente su cui basarsi se non se stessa . Anche se
farebbero apparentemente comodo, regole, leggi, sbarre, paletti e
schemi riproporrebbero solo il vecchio da cui vogliamo scappare.
Bisogna giocare in apertura, non in difesa.
Come
nelle arti marziali interiori, guerrieri determinati ma rilassati,
totalmente presenti ed elastici, centrati e flessibili, creano una
sinfonia spontanea nella quale anche chi suona il triangolo è
prezioso come il primo violino.
Avrete
tutti visto “Il Pianeta Verde” . Rappresenta il pianeta del
cuore, dove responsabilità e fluido gioco vanno a braccetto in
totale fiducia reciproca.
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