domenica 2 dicembre 2012

Perché "Laboratorio di transizione"?


Perchè questo nome?

La risposta è che stiamo facendo degli esperimenti, delle prove: il vecchio mondo competitivo basato sul “divide et impera” non ci piace più e stiamo cercando di costruirne uno nuovo basato sulla collaborazione e sulla connessione.
Stiamo passando da strutture piramidali a strutture collaborative. Ma nessuno sa come si fa. Nessuno lo sa. Il nostro stato di schiavi abituati al binomio delegare -pretendere, ad eleggere chi rappresenta il “nostro” bene (e non quello di tutti) e poi a protestare, non è ancora capace di trasferire nella materia un paradigma che preveda responsibilità condivise e diversificate secondo i propri talenti in una spontaneità che ha come comune denominatore il sentimento di unione.
Siamo in un momento di transizione, con un piede nel vecchio e lo sguardo che cerca il futuro. Da dove possiamo prendere ispirazione? Sicuramente dalla natura che crea sistemi autogestiti ricchi di biodiversità. Ma ci vogliono anni per completare il passaggio da un campo abituato ad essere arato, sfruttato, imbottito di prodotti chimici, irregimentato ad un campo ricco delle mille specie spontanee, colorate, profumate che nell'insieme formano un capolavoro di armonia.
Forse è più facile ispirarsi ad un'orchestra che deve imparare a suonare una sinfonia. Il ruolo del direttore d'orchestra è fondamentale per dare a ciascuno strumento la visione d'insieme e nello stesso tempo la consapevolezza del proprio ruolo, del proprio valore, della propria specificità, il senso del proprio vibrare in relazione agli altri strumenti.
Non c'è democrazia: se vogliono ottenere un risultato gli strumenti non possono agire di propria iniziativa, ma devono attenersi alla loro parte.
Non può essere che il fagotto o il trombone decidano di farsi sentire un po' di più, perchè ciò che conta non è l'iniziativa del singolo, ma l'armonia d'insieme. Più gli strumenti sono sicuri del proprio ruolo, migliore è il risultato.
Però poi con il tempo, nelle orchestre affiatate che ben conoscono la sinfonia, può succedere che il direttore d'orchestra diventi sempre meno importante e che gli strumenti -che si muovono ormai con un unico orecchio ed un unico sentire- incomincino, in silenzioso comune accordo, a introdurre minime variazioni personali che nascono dalla voglia di andare oltre, arrivare a qualcosa di nuovo, fino a creare nuove sinfonie spontanee ed improvvisate di grande valore.
E il direttore sarebbe felice, strafelice, di aver cocreato una forma di vita autonoma, sorprendente, a sua volta creatrice.
Potrebbe succedere tutto ciò senza aver prima affinato un fine percepire collettivo? Direi proprio di no! Sarebbe una cacofonia di individualità che vogliono dire la loro senza una vera meta collettiva.
Perciò noi stiamo vivendo nel momento di passaggio, in un laboratorio, stiamo provando, immaginando, allungando le antenne, cercando, sbagliando, confrontando esperienze, ma una sola cosa è certa: questa consapevolezza creatrice, dopo aver lasciato andare tutti i vecchi fardelli e le vecchie certezze, non ha niente su cui basarsi se non se stessa . Anche se farebbero apparentemente comodo, regole, leggi, sbarre, paletti e schemi riproporrebbero solo il vecchio da cui vogliamo scappare. 
Bisogna giocare in apertura, non in difesa.
Come nelle arti marziali interiori, guerrieri determinati ma rilassati, totalmente presenti ed elastici, centrati e flessibili, creano una sinfonia spontanea nella quale anche chi suona il triangolo è prezioso come il primo violino.
Avrete tutti visto “Il Pianeta Verde” . Rappresenta il pianeta del cuore, dove responsabilità e fluido gioco vanno a braccetto in totale fiducia reciproca.

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